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Mar 30, 2023 | Pensieri | 0 commenti

Dirsi ciò che si prova

Oggi la mia riflessione si posa su un tema a cui tengo tanto: dirsi ciò che si prova.
Ho sempre pensato che i non-detti creino distanze, ma non può essere che dirsi come ci si sente allontani comunque?
È un tema che ha proprio a che fare con la scelta di condividere se stessi, perché le nostre sensazioni altro non sono che parti di noi che ci abitano. Ed è una questione molto personale.
Arrivano dubbi e domande: Chi me lo fa fare di rendere partecipe un’altra persona, se, così facendo, arriva la paura di sentirmi più vulnerabile o fraintesa?
E se non ho le energie per affrontare tutto quello che viene dopo il parlarsi?
E come si sta ad accogliere una persona che ti dice che si è sentita male dopo aver ascoltato le tue parole? Perché il rischio esiste.
E poi chissà cosa arriva delle parole che si dicono, perché il loro senso e significato cambiano a seconda della storia della persona a cui si donano.
Come si sta nel pezzo che ti porta a guardare il tuo modo di stare in relazione che, seppure con le migliori intenzioni, può arrivare troppo ruvido o schietto o poco empatico?
Perché la complessità sta proprio nella diversità.
Accorgersi del nostro impatto sugli altri, dicendo o meno ciò che proviamo, credo sia determinante.
E quando non accade, parlarsi non solo è fondamentale, ma proprio salvifico, perché solo così posso accorgermi e correggere il tiro, o quanto meno spiegarmi.
E il modo in cui si sceglie di dire le cose? Beh, fa una grande differenza.
Scrivo? Parlo al telefono? Guardo negli occhi?
Seppure io riconosca in me una grande facilità nell’usare la scrittura anche nel mio privato, sono consapevole di quanto questa sia soggetta ad interpretazioni personali che non hanno nulla a che vedere con le mie intenzioni, e i fraintendimenti possono nascere in gran quantità e intensità.
E poi quando l’urgenza di dire non ha la stessa velocità delle possibilità di incontro, che si fa?
E quando ti accorgi che non c’è ascolto di ciò che viene comunicato, ma sintonizzazione con ciò che si sveglia dentro, come ferita personale, che nulla ha a che vedere con le parole dette, cosa è bene fare?
Ci vuole tanta fiducia per riuscire a dirsi le cose, in se stessi e nella relazione, perché farlo è sempre comunque rompere un equilibrio che poi bisogna ricostruire per restare.
A volte viene più semplice e comodo tacere, e magari è anche una scelta più utile, sempre per restare.
Quale può essere il criterio per scegliere?
Io mi accorgo che, quando voglio salvare una relazione, amo dire, eppure ci sono momenti in cui non so più se sia una scelta nutriente, sia per me che per le mie relazioni, soprattutto se il desiderio è invecchiare insieme.
E voi?
Cosa ne pensate?

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