“Chiamate Carlo, questo intervento è troppo delicato”
“Ma dottore, Carlo è di riposo.”
“Non me ne frega un cazzo. Chiamatelo immediatamente.”
“Come vuole lei dottore. Vado subito.”
“Dottor Ferriani, sono Simona, mi scusi se la disturbo, ma abbiamo bisogno urgentemente della sua presenza qui in ospedale. Il Dott Rivolta è già in sala operatoria, ma mi ha ordinato di chiamarla perché l’intervento è molto delicato.”
“Simona, scusi, ma lei ha detto al Dott. Rivolta che sono di riposo perché vengo da tre giorni di sala operatoria?” Il dottor Ferriani sarebbe corso in ospedale senza fare alcuna domanda, ma quella volta istintivamente parlò, forse aveva sentore di qualcosa di inaspettato e di spiacevole da affrontare. Gli capitava spesso di avere visioni, sensazioni, senza una particolare ragione. Arrivavano all’improvviso.
“Sì dottore gliel’ho detto, ma vuole che sia lei ad intervenire”
“Ho capito. Arrivo”
Il Dottor Ferriani non osò chiedere altro. Intuì, dal tono della voce di Simona, l’urgenza.
Dopo dieci minuti di orologio entrò nell’ingresso dell’ospedale. Si diresse immediatamente verso la pre-sala operatoria per vestirsi. Ebbe una vertigine, l’odore, stranamente, lo colpì. Insieme al freddo della stanza.
“Mi sai dire le generalità del paziente? Cosa gli è accaduto?” chiese all’infermiera che lo accolse già con il camice in mano.
“Non lo so Dottore, mi hanno detto solo che è un caso di vita o di morte, l’intervento dovrebbe essere quello su cui lei ha studiato da anni ed è maestro, per quello l’hanno chiamata.”
“Passami la mascherina, Simona.”
Carlo Ferriani entrò in sala operatoria con la lucidità e la professionalità che da sempre l’avevano contraddistinto. Ma provava un certo inspiegabile disagio. Appena si avvicinò al paziente, lo guardò ed ebbe come un sobbalzo all’indietro.
“Carlo che ti succede?” chiese Enzo Rivolta
“Dammi nome e cognome del paziente.”
“Carlo che cazzo di domande fai? Ti pare momento?”
“Parla Enzo! Cazzo parla!”
“Filippo Mantovani, medico chirurgo, cardiologo, specializzato nelle migliori università.”
“Basta non andare avanti. So chi è. So benissimo chi è.” Sperava di essersi sbagliato, invece era proprio lui.
“Carlo forza, cominciamo.”
“Non so se voglio operare.”
“Carlo che cazzo ti prende?”
In una frazione di secondo Carlo vide davanti a sé la scritta sul cartellone fuori dalla sede del concorso “Non ammesso”.
Il suo cuore cominciò a battere velocemente, aveva cominciato a correre per inseguire il passato. “Carlo mi dispiace.” Queste le ultime parole che ricordava. Il suo amico di sempre aveva ottenuto il posto a cui anche lui ambiva. Ottenuto con l’inganno. Ottenuto fregando. Non gli disse nulla. Non rispose a quella domanda. Lo guardò dritto negli occhi e decise che non avrebbe voluto vederlo mai più. Si voltò e se ne andò. Cambiò città, paese, ospedale. Decise che nella vita non avrebbe voluto sentirsi tradito in quella maniera mai più. Tutti gli anni successivi li trascorse a studiare per ottenere ciò che si era sentito rubare. Era diventato un primario ricercatissimo, punto di riferimento in tutta Europa. Si era specializzato in un particolare intervento cardiaco. Era l’unico in Europa di cui potersi fidare. Era sempre stato un ragazzo poco attraente, alto fino alla spalla dell’amico, calvo e con il punto vita gonfio ed abbondante. Il suo aspetto, così come quello delle persone non particolarmente belle, dava molta fiducia, faceva sentire a casa. Poteva essere il vicino della porta accanto, o il fratello o l’amico di sempre.
“Carlo per favore, non c’è tempo da perdere” gli disse il Dottor Rivolta incredulo verso l’inusuale atteggiamento del collega.
Ma Carlo sembrava come bloccato dal tasto pausa di una videocassetta. Era immobile, come paralizzato. I suoi occhi, piccoli di natura, sembravano esserlo ancora di più, ora erano solo una fessura sottile che emanava tanto risentimento. Quanti ricordi. Dolorosi ricordi. Occhi fissi, ma persi, così come perso e confuso era il suo animo in quel momento.
Era lui. Il suo amico. Il suo ex amico. Il traditore.
Non lo chiamava più Filippo da oltre dieci anni. Si era sentito tradire nel peggiore dei modi.
Ed ora aveva la sua vita nelle sue mani.
“Non posso operare, Enzo”
Ripeteva questa frase come fosse sotto shock.
“Carlo ti supplico, chiunque fosse per te Filippo Mantovani, tu ora devi intervenire senza perdere altro tempo. Sta per morire.”
Quella frase fu come una chiave che aprì una serratura bloccata, catapultò la mente di Carlo agli anni della sua infanzia, quando lui e Filippo erano inseparabili. Alle risate, ai giochi. E poi alla loro adolescenza, alle uscite, alle ragazze, alle bugie dette ai genitori, coperte.
Sorrise.
Tanti anni velocemente nella sua mente. Pensò alla mamma di Filippo, così dolce e premurosa con lui come fosse suo figlio. Umile, coraggiosa e fedele. Forse Filippo aveva preso dal padre. Arrivista, egoista e prepotente. Avrebbe fatto di tutto pur di far ottenere quel posto a suo figlio. E così è stato. Filippo accettò di tradirlo.
Il tradimento brucia. La ferita non si rimargina. Resta aperta perché è una ferita profonda. Tocca l’anima e ti cambia il carattere.
Il perdono non guarisce il tradimento. Ti aiuta a guardarlo in faccia senza sentire male, ma la ferita resta lì pronta ad aprirsi perché non si chiude mai.
“Passatemi i bisturi”
Fu l’immagine del sorriso della madre di Filippo a convincerlo.
“Oh cazzo, ti sei deciso.” Disse il dottor Rivolta senza quasi più aspettative.
“Ad una condizione però, Enzo.”
“Tutto quello che vuoi, basta che cominci.”
“Tu non devi dire al paziente, una volta sveglio, che sono stato io ad intervenire.”
“Ma non posso Carlo, lo sai anche tu. Significherebbe falsificare il referto di sala operatoria.”
“Tu sai come fare.”
“Ok Carlo, ora comincia però.”
Enzo Rivolta accettò pur di vedere il suo collega all’opera, ma non era sicuro di mantenere quella promessa.
Il bisturi incise il petto di Filippo Mantovani.
Il sangue che fuoriuscì, contrariamente alle altre volte, procurò a Carlo Ferriani un gusto sadico imprevisto.
La sua vita è nelle mie mani questo fu il suo primo pensiero alla vista di quel sangue. Avrebbe potuto decidere di fare ogni cosa. Decise di farne una soltanto: ucciderlo. Il sorriso della madre di Filippo era già storia vecchia.
Le ferite aperte erano due in quella sala operatoria.
Una si vedeva, l’altra si sentiva.
Era deciso. Avrebbe finto un malore, e non avrebbe salvato Filippo Mantovani.
Questa era la sua grande occasione. Poteva vendicarsi. In fondo Filippo aveva già ucciso la loro amicizia, Carlo ora avrebbe ucciso lui. Era felice ed agitato al tempo stesso, perché non aveva mai avuto pensieri di tanta cattiveria, mai verso nessuno, ma allo stesso tempo era contento di poter avere un’occasione per vendicarsi.
Non sapeva di essere una persona vendicativa, la vita non gliene aveva mai dato occasione, fino al quel momento. Ma la vita è comica ed imprevedibile, si diverte a fare strani scherzi quando meno te lo aspetti. Ma lui ora non stava scherzando. Era serissimo.
L’intervento proseguiva nel migliore dei modi. Il Dott. Rivolta non aveva minimamente l’idea di cosa stesse progettando il suo collega.
“Asciugami il sudore, Simona” Carlo cominciò a fingere delle eccessive sudorazioni.
“Carlo tutto bene?” chiese Enzo Rivolta preoccupato perchè colse uno sguardo indecifrabile del collega.
“Mi sento poco bene” pensava di mentire, ma in realtà si sentiva poco bene sul serio.
No proprio ora che volevo vendicarmi, ti prego panico, vai via. Tornami a trovare fra poco e ti accoglierò, ma ora lasciami uccidere il mio ex amico.
Carlo sentiva che stava per avere un attacco di panico in piena regola.
Più decideva di continuare nel suo progetto di vendetta, più le palpitazioni e le sudorazioni aumentavano insieme al senso di soffocamento e meno riusciva a proseguire nel suo intento.
“Carlo se non te la senti, continuo io, ma così stiamo rischiando di mandare tutto all’aria”
Carlo non rispondeva, perché tutte le sue energie erano impegnate a cacciare il panico che stava aumentando sempre di più. Sembrava che fosse venuto a trovarlo per impedirgli di vendicarsi.
“Stronzo panico di merda, sei più amico suo che mio? Se non te ne vai sarò costretto ad abbandonare i bisturi, a passarli ad Enzo che lo salverà, visto che l’intervento è quasi al termine”
Più sentiva il panico aumentare più capiva che quello che stava facendo era contro la sua natura. Lui non era un assassino. Non era capace di tradire, non era mai stato coraggioso, aveva sempre fatto fatica a raggiungere i suoi obiettivi perché, essendo molto altruista, venivano sempre prima i bisogni degli altri. A forza di non pensare mai ai suoi di bisogni, aveva iniziato a soffrire di attacchi di panico, che si presentavano ogni volta che stava percorrendo una strada che non era la sua.
Il gesto che stava per compiere era molto lontano dalla sua natura. Non era mai stato capace di ottenere, con l’inganno, posti di prima fila, né amava stare in prima fila. Era sempre stato uno da dietro le quinte, contrariamente al suo amico.
Il suo istinto, quello che gli aveva fatto ricordare il sorriso della madre di Filippo, prendere i bisturi in mano e cominciare ad intervenire, stava iniziando a scocciarsi e prepotente senza essere stato invitato aveva chiamato l’amico panico per farsi aiutare.
Lui voleva essere un altro Carlo. Capace di odiare. Capace di vendicarsi fino al punto di uccidere.
Ma la nostra natura è un seme che più sotterriamo, più germoglia. In quel momento, in quella sala operatoria c’erano due Carlo. E si guardavano confusi. Il panico cominciò ad allentarsi. Carlo deciso ad uccidere si sentiva forte. Voleva raggiungere il suo obiettivo. Ma i bisturi erano in mano a Carlo l’istintivo.
E’ la nostra natura, la nostra anima, ancora prima di noi, ed anche nascosta e maltrattata ad avere sempre la meglio, perché ci guida a prescindere dalla nostra volontà e ci porta su strade diverse da quelle che avevamo pianificato.
L’intervento finì nel migliore dei modi.
Filippo Mantovani non seppe mai che a salvargli la vita fu il suo vecchio amico Carlo Ferriani.
Buonasera. Mi incuriosisce capire se i nomi sono inventati o riferimenti alla vita reale. Cordialmente Carlo Ferriani
Assolutamente inventati. Non conosco nessuno che abbia i nomi dei personaggi del mio racconto.